Il TFR può essere un affare: con l’inflazione a una certa percentuale, il trattamento può crescere del 3,5% all’anno. E mica è poco!
Chi inizia un nuovo lavoro ha due possibilità con il trattamento di fine rapporto: può lasciarlo in azienda o destinarlo a un fondo pensione. Il TFR, cioè la somma che il datore di lavoro accantona ogni mese per il lavoratore e che verrà poi corrisposta alla conclusione del rapporto di lavoro, può essere gestito in due modi differente. E può ancora rimanere presso l’azienda, invece di essere trasferito a un fondo pensione complementare. Si tratta di una scelta sensata?

Con le pensioni pubbliche sono sempre più povere per colpa del passaggio al sistema contributivo e la previdenza complementare che è diventata una necessità, lo Stato ha cominciato a incentivare il trasferimento del TFR nei fondi pensione. E così, quella somma che un tempo entrava come premio netto nelle tasche del lavoratore nel giorno della pensione ora viene sfruttata per rimpolpare l’assegno previdenziale.
TFR con alta rivalutazione in azienda ogni anno: conviene davvero destinarlo a un fondo pensione?
C’è comunque chi continua a pensare che sia meglio evitare il passaggio ai fondi pensionistici. In modo da ricevere la somma alla fine del rapporto di lavoro. Con il licenziamento, le dimissioni o il pensionamento. Va infatti specificato che il TFR lasciato in azienda si rivaluta ogni anno secondo una formula precisa. La normativa attuale prevede che il trattamento debba crescere di un 1,5% fisso più il 75% dell’inflazione.
Se l’inflazione è per esempio al 2,7%, il TFR cresce del 3,5% all’anno. Una crescita costante, garantita, del tutto emancipata dai capricci dei mercati. E in passato chi ha scelto di non cedere alle pressioni statali ci ha guadagnato. Nel 2022, per esempio, il TFR ha avuto una rivalutazione dell’8,3%.

Tutto ciò mentre molti fondi pensione perdevano anche il 10%. Alcuni analisti hanno a tal proposito parlato di rivincita del TFR. Va detto che i fondi pensione negoziali possono ancora offrire rendimenti mediamente superiori sul lungo periodo. I dati di rendimento annuo composto, considerando intervalli medi ventennali, possono superare il 3%. Tutto ciò se si accetta una maggiore esposizione al rischio di mercato.
Nel 2024-2025, i fondi pensione negoziali hanno avuto un rendimento annuale netto tra circa il 2,8% e il 3,1% su orizzonti di quindici-venticinque anni. Alcune linee azionarie hanno già registrato rendimenti fino al 3,5% annuo. C’è dell’altro: i fondi pensione beneficiano di una tassazione agevolata sui rendimenti. Danno anche accesso a dei chiari vantaggi previdenziali. Inoltre, non è così insolito che le aziende abbiano difficoltà a pagare il TFR al lavoratore.
In questo senso non è facile capire cosa conviene davvero. Come spesso accade, dipende dalla situazione particolare del lavoratore e dai suoi obiettivi. In termini astratti, il TFR trasferito a un fondo pensione ha ancora i suoi vantaggi, potendo garantire rendimenti doppi rispetto al TFR lasciato in azienda pure con rivalutazione superiore al 3% all’anno.





